In ricordo di Paolo Murialdi

In ricordo di Paolo Murialdi

E’ morto la scorsa notte a Milano Paolo Murialdi. Aveva 87 anni, era malato da tempo. Avevo pensato di dedicargli un post con una mia intervista, proprio poco tempo fa. Lo pubblico ora per ricordare un grande maestro del giornalismo, storico e scrittore ma soprattutto una persona cordiale e disponibile al confronto che ho avuto la fortuna di conoscere. Un vero “galantuomo” come lo definiva Montanelli.

A proposito di problemi dell’informazione.

 L’ 11 giugno del 1995 gli italiani votarono per 12 referendum. I temi erano: le rappresentanze sindacali, l’assetto del commercio, la legge elettorale, la legge sulle televisioni private.
Allora io frequentavo un corso di giornalismo nella mia città, durante il quale ebbi la fortuna di avere come insegnanti diversi giornalisti famosi come Enzo Biagi e Paolo Murialdi. A quest’ultimo, storico del giornalismo, consigliere di amministrazione della Rai dei “professori”, ebbi modo di rivolgergli diverse domande che diventarono un’intervista sul ruolo dell’opinione pubblica e sul problema dell’informazione in Italia. Questa fu pubblicata su “La Nuova Sardegna” il 4 giugno 1995 alla vigilia del referendum. A distanza di undici anni la trovo ancora molto attuale perché molti problemi non sono ancora stati risolti…

Pianeta informazione, intervista a Paolo Murialdi.
“La mia ricetta tv: smontare insieme rai e fininvest.”

La libertà si realizza, si conquista e si difende tutti i giorni”. Paolo Murialdi, giornalista e storico del giornalismo, consigliere di amministrazione della Rai dei “professori”, così spiega il legame tra libertà e ruolo dei media, in particolare dei giornali, in un sistema liberaldemocratico. Il problema dell’informazione occupa le pagine dei giornali tuttavia discuterne con Paolo Murialdi ci aiuta a capire quali possano essere i risvolti di un giornalismo stampato sempre meno letto.
Dopo essere stato redattore di importanti quotidiani, tra cui il “Corriere della sera” e “Il Giorno”. Murialdi divenne presidente della Federazione nazionale della stampa nel 1974; dal 1989 al 1993 è stato segretario generale del Laboratorio per la comunicazione economica e finanziaria dell’Università Bocconi e quindi componente del c.d.a. della Rai dal luglio 1993 al luglio 1994. Attualmente dirige la rivista “Problemi dell’informazione.” Tra le sue pubblicazioni ricordiamo “La Stampa italiana dal dopoguerra 1943-1972 (1974), “Storia del giornalismo italiano”(1986) e “Maledetti professori”(1994).

- Professor Murialdi, perché in Italia si leggono pochi quotidiani?
- “Il mercato dei giornali è sempre stato ristretto. Ancora oggi, per quanto riguarda il numero delle copie vendute siamo davanti solo a Grecia e Spagna. Non è facile individuare tutte le cause. Una ipotesi è certamente la peculiarità del giornalismo italiano, cioè la sua marcata politicizzazione. I sociologi dicono che il nostro è un giornalismo poco “fattuale”, molto di commento. È un limite che viene da lontano. Nell’Ottocento tutti i giornali nascono per fazioni politiche: il Corriere della Sera nasce su posizioni liberali per contrastare Il Secolo di Milano che aveva un indirizzo radical- democratico, il Messaggero nasce progressista, Bettino Ricasoli fonda La Nazione e poco dopo diventa Presidente del Consiglio. Senza andare molto lontano, nei nostri anni Settanta, con l’intensificarsi della lotta politica, nascono a breve distanza l’uno dall’altro due quotidiani: Il Giornale di Indro Montanelli, che si colloca sul versante della destra e La Repubblica di Eugenio Scalfari che invece si schiera a sinistra. Oltre a ciò, oggi la carta stampata deve combattere la concorrenza molteplice della televisione.”

- Ma la televisione ha contribuito a modificare il giornalismo stampato?
- “La televisione ha introdotto un giornalismo di spettacolarizzazione e gridato. Lo si può vedere nella titolazione dei quotidiani: sono spariti i verbi. Inoltre la maggior parte dei giornali sono cresciuti nell’età della televisione, per cui la carta stampata dà molto risalto ai personaggi della tv. Oltre a questo, si sono diffuse soluzioni giornalistiche riprese dalla TV, come l’uso delle interviste rapide.”

- Che differenza c’è nel rapporto con l’opinione pubblica tra tv e carta stampata?
- “Il giornale cerca di capire cosa pensa l’opinione pubblica. Il quotidiano serve l’opinione pubblica. Anche se poi non sempre un giornale di tendenza ha ragione. La tv, invece, ha un potere di influenza continuo sulla mentalità, sui costumi, sui gusti. La tv serve anche a spostare voti.”

- È possibile creare una stampa autonoma e forte rispetto alla tv?
- “Prenderei come esempio “La Nuova”, che ho avuto modo di leggere in questi giorni. Ha un pubblico vasto. Questo giornale è stato una risposta. La sua forza consiste nell’unione delle notizie locali e nazionali, nel trattare i problemi locali e nazionali. Si tratta della cosiddetta “formula omnibus”. Una formula di completezza che le ha consentito di risentire meno della crisi di vendite che ha colpito tutti i quotidiani locali.

- E per quanto riguarda i giornali nazionali?
- “E’ logico che i quotidiani nazionali seguano la gerarchia delle notizie dei principali telegiornali, però poi dovrebbero improntare la loro formula all’integrazione degli eventi. Inoltre dovrebbero fornire informazioni che la televisione non dà come sta già avvenendo nel campo economico finanziario.”

- Parliamo di duopolio televisivo…
- “Io sono del parere che bisogna smontare la Rai per smontare la Fininvest, perché il duopolio, è stato un danno sotto tutti i punti di vista, materiali e tecnici. È stato bloccato lo sviluppo tecnologico. Vedo un assetto simile a quello francese e spagnolo che prevede precisi limiti alla proprietà di emittenti televisive. La mia idea è: una rete, un solo soggetto. Per questo io voterò”Si” ai tre quesiti principali della tv.”

- Quindi terzo polo?
- “ Come ho già detto sono del parere che ognuno deve avere una rete. Quindi non solo terzo polo, ma quarto, quinto… Per fare questo, però, bisogna tenere conto anche delle risorse disponibili. Non dimentichiamo che la Rai e la Fininvest detengono il 90% della pubblicità che va sui teleschermi. E fare una rete televisiva richiede tanti miliardi.”

M.V.C. La Nuova Sardegna 4 giugno 1995

 

 

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